L’Arcidiocesi di Palermo fissa la data che porterà agli onori degli altari don Pino Puglisi, il parroco di Brancaccio ucciso dalla mafia – in odio alla fede – nel capoluogo siciliano la sera del 15 settembre 1993, nel giorno del suo 56esimo compleanno. Il sacerdote palermitano sarà beatificato il prossimo 25 maggio 2013; lo ha annunciato mons. Paolo Romeo, cardinale-arcivescovo di Palermo, durante l’ordinazione di quattro nuovi sacerdoti siciliani in occasione del XIX anniversario del martirio di don Puglisi.
“L’opera di don Pino – afferma mons. Romeo – e di quanti lo collaborarono fu sempre animata dalla fede. Ma questa fede la mostrò apertamente in quelle opere che dalla stessa fede scaturivano. Per questo la mafia non poteva stare tranquilla: la fede di don Pino usciva dalla chiesetta di Brancaccio e rischiava di cambiare la realtà facendosi lievito di novità sulla strada. La mafia fu infastidita da questa «fede pericolosa», che altro non fu se non una «fede incarnata»”.
La celebrazione della beatificazione di don Pino Puglisi si svolgerà a Palermo, quasi certamente all’aperto per permettere ai numerosissimi fedeli di prendere parte al particolare evento. Dal febbraio 2008, infatti, le cerimonie di beatificazione si svolgono nelle diocesi d’origine del beato e non sono presiedute dal Papa. Una scelta – operata da Papa Ratzinger – che sottolinea il valore per la Chiesa locale della beatificazione e per avvicinare i fedeli alla santità.
“Nell’imminente apertura dell’Anno della Fede indetto dal Santo Padre Benedetto XVI, – chiarisce il card. Romeo – il martire don Pino ci sta davanti non per canonizzare l’antimafia, non come l’esempio di una «santa antimafiosità», ma come esempio di un presbitero, che è discepolo innamorato di Cristo, ed apostolo innamorato della Chiesa. Un presbitero la cui fede diventa carità, che rigetta qualsiasi forma di male e che per questo è sempre scomoda. Una fede che «si» scomoda e «ci» scomoda perché richiama il banco di prova della nostra sequela pro-fessata: l’amore”.
L’uccisione di Puglisi, probabilmente, fu anche la feroce risposta della mafia alle parole che Giovanni Paolo II pronunciò – quattro mesi prima dell’omicidio, nella Valle dei Templi ad Agrigento – contro la criminalità organizzata. Quella del Vangelo è però una verità che va ben oltre la morte, e i semi di pace e di carità piantati dal minuto prete di Brancaccio – in una terra dove spesso i capi mafia diventano idoli – non andarono dispersi.
“Il sangue dei martiri – come affermava Tertulliano – è seme di nuovi cristiani”. Il martirio di Puglisi, inoltre, è un richiamo ecclesiale che va oltre il coraggio pastorale mostrato nel tenere testa ai soverchiatori della propria borgata di appartenenza. Puglisi stesso affermava: “Bisogna cercare di seguire la nostra vocazione, il nostro progetto d’amore. Ma non possiamo mai considerarci seduti al capolinea, già arrivati. Si riparte ogni volta. Dobbiamo avere umiltà, coscienza di avere accolto l’invito del Signore, camminare, poi presentare quanto è stato costruito per poter dire: sì, ho fatto del mio meglio”.
Durante la sua visita pastorale alla città di Palermo, nell’ottobre 2010, Papa Benedetto XVI ha ricordato così il coraggioso sacerdote palermitano: “Egli aveva un cuore che ardeva di autentica carità pastorale; nel suo zelante ministero ha dato largo spazio all’educazione dei ragazzi e dei giovani, ed insieme si è adoperato perché ogni famiglia cristiana vivesse la fondamentale vocazione di prima educatrice della fede dei figli. Lo stesso popolo affidato alle sue cure pastorali ha potuto abbeverarsi alla ricchezza spirituale di questo buon pastore… Vi esorto a conservare viva memoria della sua feconda testimonianza sacerdotale imitandone l’eroico esempio”.