Il più bello tra i figli dell’uomo, sulle labbra del quale è diffusa la grazia e che Dio ha benedetto per sempre (cf. Sl 44,3), «non ha apparenza né bellezza per attirare i nostri sguardi, non splendore per provare in lui diletto. Egli, si è caricato delle nostre sofferenze, si è addossato i nostri dolori… è stato trafitto per i nostri delitti, schiacciato per le nostre iniquità. Il castigo che ci dà salvezza si è abbattuto su di lui;» Is 53,2.4-5. La profezia di Isaia, che presenta il Servo sofferente, già dall’epoca patristica è stata interpretata in chiave cristologica e tutta la tradizione esegetica cristiana vi ha sempre letto una chiara prefigurazione della passione di Gesù. Vorrei porre, questo brano del deutero Isaia, in continuità con quanto scritto nel numero precedente di Theofilos.
Mai alcuna bruttura avrebbe potuto inficiare lo splendore di bellezza nel quale è rifulso davanti ai nostri occhi il volto dell’Unigenito Figlio di Dio, Cristo Gesù. Solo la sua solidale esistenza umana, nell’obbedienza alla volontà del Padre suo, con l’umanità di ogni tempo e di ogni luogo, poteva richiedergli di assumere su di sé le nostre sofferenze, i nostri dolori, i nostri delitti, le nostre iniquità, i nostri castighi! Tutte conseguenze, queste, generate da esistenze dispiegate fuori dalla luminosa bellezza dell’Essere divino, nell’ombra del peccato e nelle tenebre della morte. Le vite vissute lontano dalla luce divina, che tutto rischiara e che dà vita ad ogni cosa, sono consegnate al grigiore e all’oscurità del male generato da progetti malvagi e da scelte insipienti. Esse non solo danno origine al male, che semplicemente non è e che conduce verso l’annichilimento tutte le cose che sono nell’essere, ma sono anche la causa fondamentale di ogni ricominciamento del male in tutte le sue forme e in tutta la sua drammaticità.
Se avessimo tutti la consapevolezza della gravità di ogni singolo peccato! Comprenderemmo chiaramente che, quanto più è grave la colpa tanto più concretamente, contribuisce a generare sofferenza, dolore e iniquità in questo mondo. Quanta superficialità e rozzezza di vita cristiana si appalesa in coloro che con tanta indifferenza si dispongono a peccare, al di là delle connaturali fragilità personali, progettando esistenze personali e comunitarie strutturalmente e stabilmente votate al male. Il peccato commesso è si personale, ma le sue conseguenze non ricadono mai solo su chi lo commette. Com’è noto, vi è una solidarietà nel bene tra tutti gli uomini e allo stesso modo una solidarietà nel male: se compio azioni buone, la bontà di quelle azioni torna a beneficio di tutti, così se le mie azioni sono malvagie allora il male compiuto danneggia tutti. Nessuno nella vita paga solo per le proprie colpe, nel bene e nel male le nostre esistenze sono ineluttabilmente relate. Paga il giusto per il peccatore! Il peccatore è salvato dalla morte del giusto! É il prezzo pagato da Gesù, l’Agnello del nostro riscatto! «Noi tutti eravamo sperduti come un gregge, ognuno di noi seguiva la sua strada; il Signore fece ricadere su di lui l’iniquità di noi tutti» Is 53,6.
Il peccato ha il potere di sfigurare l’uomo, di deformarlo, di renderlo irriconoscibile a se stesso, oltre che agli altri. Bisogna avere orrore del peccato! L’uomo assuefatto al peccato, o più semplicemente abituato ad esso, perde il senso del peccato, anzi non lo riconosce più e gradualmente smarrisce anche il senso della propria vita. In questa condizione, l’uomo abbruttito dal peccato è anche abbrutito nello stile della propria vita e nelle relazioni con gli altri. Tutto stinge nell’opacità del non senso, aprendo la via all’egocentrismo e all’individualismo relativista e consumista, dove la comprensione di sé e dell’altro passa per scelte umanamente carenti se non del tutto menzognere. L’immagine di questa orribile trasformazione e dello snaturamento causato dalle nostre colpe è chiaramente richiamata dalle parole di Isaia: «… molti si stupirono di lui – tanto era sfigurato per essere d’uomo il suo aspetto e diversa la sua forma da quella dei figli dell’uomo» Is 52,14. Ecco cosa fa il peccato!
Gesù, il più bello tra i figli dell’uomo, addossandosi il peccato dell’umanità intera, è divenuto inguardabile perché orribilmente sfigurato dai peccati degli uomini. Eppure, solo volgendo lo sguardo a lui «trafitto per i nostri delitti, schiacciato per le nostre iniquità», l’uomo sperimenta la possibilità di ritrovare sé stesso, di ricomprendersi nella verità dalla quale il male operato lo aveva allontanato. Egli solo può restituirgli lo splendore della sua bellezza primigenia, attraverso la grazia di una nuova vita, ricreata mediante il lavacro di rigenerazione del suo sangue: «per le sue piaghe noi siamo stati guariti» Is 53,5.
Lasciamoci educare dal mistero del sacrificio redentivo del Cristo ad una vita nuova; una vita cristiana, buona e bella, gioiosa e pacificata: nella grazia di Dio, nella comunione fraterna, nella solidarietà con ogni uomo, nel rispetto e nella salvaguardia di tutto il creato.
(Editoriale tratto da Theofilos, marzo 2012, la Rivista della Scuola Teologica di Base “San Luca Evangelista”)